GLI ANTICHI GIOCHI PANELLENICI
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L'AGONISTICA e la RELIGIONE
Nell'ambito del culto politeistico degli dei ebbe origine in Grecia il cosiddetto "CULTO AGONISTICO", celebrato con l'istituzione di gare per rendere più solenni i riti religiosi. Lo scopo era quello di glorificare gli dei, onorandoli con l'organizzazione di agoni (giochi), nel contesto di un rigoroso cerimoniale. I giochi divennero, pertanto, un'occasione rituale e, allo stesso tempo, agonistica, in cui la vittoria nella competizione costituiva un'occasione simbolica per accostare l'atleta alla divinità.
Il disperso mondo delle pòleis greche ospitava centinaia di giochi, alcuni di importanza PANELLENICA (di tutta la Grecia), altri di rilievo solamente locale. Ma, ovunque, gli ingredienti di base delle celebrazioni erano gli stessi; da una parte i riti religiosi con le processioni, i sacrifici, le offerte votive, le preghiere; dall'altra, le feste agonistiche con i loro giochi. Sia che si trattasse di agoni musicali, di retorica, di arte drammatica, di danza o di pittura, sia che si disputassero gare atletiche, al centro di queste attività c'era sempre l'agòn, l'agonistica. Coristi, musici, dicitori, danzatori, araldi e drammaturghi gareggiavano e venivano premiati alla stessa stregua degli atleti.
Bisogna però intendersi bene sul significato che gli antichi greci davano all'agòn, cioè alle competizioni regolate da norme. "L'importante è partecipare, non vincere", proclamerà il fondatore dell'olimpismo moderno, Pierre de Coubertin. "L'importante è vincere" era, invece, la regola basilare dell'agonismo greco. Partecipare alle competizioni non costituiva, di per sé, un titolo di merito, poiché solo la vittoria dava la gloria, accostava gli atleti agli dei, li avvicinava all'Olimpo. Non esisteva il "podio", non erano previsti riconoscimenti per il secondo e terzo classificato. Non essere primo significava perdere e questo era tutto; la sconfitta era considerata un'infamia, un disonore. Questa caratteristica dell'agonistica greca era collegata alla tradizionale concezione dell'uomo eroico, così come veniva celebrato nei tempi arcaici. "O corona o morte" gridavano gli atleti prima di scendere in campo all'epoca dell'occupazione romana. Nelle imprese degli antichi atleti, dunque, non trovava certamente posto il moderno concetto del fair play. Altro elemento peculiare dell'agonistica greca era l'assenza nei programmi dei GIOCHI PANELLENICI delle gare a squadra. La vittoria spettava al singolo individuo, la gloria non poteva essere condivisa con i compagni, ma soltanto, come declamavano gli antichi poeti, con la propria famiglia, i propri antenati, la propria gente. Così pure non sono mai stati tramandati record, ma piuttosto primati di "qualità": pugili senza cicatrici, lottatori imbattuti, vincitori senza combattere, perché si erano ritirati tutti gli avversari.
I giochi atletici si svolgevano per commemorare la scomparsa di grandi personaggi, la cui memoria veniva perpetuata (tramandata, ricordata) attraverso le imprese degli atleti, anche allo scopo di esorcizzare la morte. Vita e morte, infatti, per gli antichi greci, erano in relazione dialettica tra loro; di conseguenza, secondo le antiche credenze, gli atleti che gareggiavano nei giochi traevano vigore proprio dagli eroi scomparsi, in onore dei quali si svolgevano le competizioni. Ebbe così origine il culto agonistico che metteva in contatto il mondo della religione con quello dell'atletica, conferendo alle gare un carattere di sacralità. Per questo motivo i luoghi che ospitavano i PRINCIPALI GIOCHI PANELLENICI erano generalmente sede di culti religiosi. Solo con il trascorrere dei secoli il collegamento tra competizioni e riti religiosi andò attenuandosi e i giochi subirono una graduale trasformazione, diventando l'occasione specifica per praticare attività agonistica.
Per quanto riguarda l'individuazione di un periodo ben determinato in cui collocare la nascita dei giochi atletici nell'antica Grecia, le fonti di riferimento sono generalmente quelle letterarie. La descrizione più antica di competizioni appare nel XXIII libro dell'Iliade, che offre una minuziosa rappresentazione delle gare organizzate da Achille, sotto le mura di Troia assediata, per accompagnare i riti funebri celebrati in onore di Patroclo, ucciso in duello da Ettore. Il racconto dei giochi è senza dubbio il più completo fra le antiche descrizioni dell'agonistica greca ed è riferito quasi fosse un resoconto giornalistico moderno, ciò che è ancor più sconcertante perché Omero probabilmente visse due secoli prima dell'inizio dei Giochi Olimpici e tuttavia fornisce una descrizione copiosa e analitica delle competizioni. Le prove descritte sono otto: due corse, a piedi e con i carri; due lanci, disco e giavellotto; tre combattimenti, pugilato, lotta e scontro con le armi; una di destrezza, il tiro con l'arco. La maggior parte di queste gare costituì successivamente il programma di base dei Giochi Olimpici.
I competitori dell'Iliade provengono esclusivamente dal gruppo dei nobili guerrieri che comandano l'armata greca. Le corse si svolgono in un impianto di fortuna, ricavato adattando all'uopo il terreno esistente. Il percorso è delimitato ai due lati da pietre cuneiformi; come indicazione per invertire la corsa, al termine del rettilineo, è usato un tronco in legno interrato, denominato mèta, contornato da grandi macigni. Il racconto inizia con la corsa dei carri, la più aristocratica di tutte le gare, monopolio dei capi militari che partecipano alle battaglie sui loro cocchi. Una serie di nozioni tecniche si ricava dalle raccomandazioni di Nestore di Pilo, famoso auriga, al figlio Antiloco, che ha come avversari i favoriti Diomede, Eurialo e Merione. Per questa corsa Achille mette in palio cinque premi, uno per ciascuno dei concorrenti, un'eccezione, che si ripeterà anche nelle altre prove, rispetto alla pratica comune nell'agonistica greca, dove di regola veniva assegnato un riconoscimento solo al vincitore. Segue la descrizione delle altre gare, il pugilato e la lotta, discipline che occupavano un ruolo importante nell'educazione atletica achea. Anche nel pugilato vengono messi in palio due premi, uno per ciascuno dei due concorrenti, che hanno le mani ricoperte da una speciale protezione costituita da strisce di pelle intrecciate sul polso; le dita sono libere e possono così serrarsi a pugno. La competizione di lotta vede contendersi la vittoria Ulisse e Aiace, i due eroi achei che rappresentano le caratteristiche tipiche di questa disciplina: l'astuzia e la forza. Il combattimento è estenuante; i due lottatori si afferrano per le braccia e restano in questa posizione di difesa così a lungo che Aiace, per tentare di dare in qualche modo un esito al combattimento, propone a Ulisse di lasciarsi sollevare alternativamente senza porre difesa. Nessuno dei due, malgrado l'espediente, riesce ad avere la meglio; vengono, perciò, ambedue dichiarati vincitori da Achille che consegna, come premio, due tripodi di metallo e otto buoi. È l'unico episodio citato da fonti scritte di una competizione dei giochi antichi terminata con una vittoria a pari merito. Si disputa, quindi, la prova di corsa alla quale concorrono tre atleti: Aiace, Antiloco e Ulisse. La gara è molto semplice: gli atleti afferrano una sbarra, dietro la quale vengono allineati in attesa del segnale di via per poi raggiungere, il più velocemente possibile, un traguardo, collocato a una distanza che Omero non precisa. Seguono le prove di lancio: nel giavellotto, di cui non sono forniti dettagli né di forma né di misure, la vittoria viene assegnata, in segno di rispetto e deferenza, al capo supremo della spedizione, Agamennone; per quanto riguarda il disco, al contrario, Omero si dilunga nel descrivere l'attrezzo, che non risulta essere il disco vero e proprio utilizzato nei Giochi Olimpici, ma un blocco di metallo non lavorato, che rappresenta anche il premio per l'atleta che lo scaglia più lontano. Tenuto conto delle fattezze dell'oggetto, sarebbe stato forse più corretto parlare di lancio del peso.
L'Iliade avvalora dunque la tesi secondo la quale fin dai tempi della civiltà micenea i greci avevano la consuetudine di organizzare giochi collegati a cerimonie funebri. Tuttavia anche nella maggior parte delle opere letterarie successive a quelle omeriche, lo svolgimento dei giochi è sempre concomitante con cerimonie religiose o riti funerari in onore di un dio o di un eroe. La motivazione religiosa non solo donava un carattere di sacralità alle competizioni, ma ne stabiliva anche la periodicità; i giochi acquisivano, in tal modo, una continuità temporale che ne garantiva la sopravvivenza. Naturalmente ciò presupponeva la ricerca di sedi fisse e spazi idonei ove far svolgere le gare. Per queste ragioni il popolo greco scelse come residenze abituali dei giochi località ove si celebravano culti religiosi. L'usanza di associare le onoranze funebri con i giochi atletici non fu peraltro peculiare della Grecia. In Italia, per esempio, tale legame è attestato dalle raffigurazioni di corse con i carri di combattimenti di pugilato e di lotta che si trovano su numerosi sarcofagi provenienti dalle tombe etrusche.
Lo stretto nesso esistente tra l'agonismo e la religione trovò il suo riscontro più evidente nelle origini delle principali feste agonali organizzate nell'antica Grecia: i GIOCHI PITICI, ISTMICI, NEMEI, PANATENAICI e, soprattutto, i GIOCHI OLIMPICI, l'istituzione dei quali ha preceduto gli altri di circa due secoli.
I GIOCHI PITICI o DELFICI
Tra le feste panelleniche grande rilievo ebbero i GIOCHI PITICI, detti anche DELFICI. La loro origine si perde nei tempi, poiché ancor prima della loro istituzione ufficiale si svolgevano a Delfi feste locali, durante le quali si celebravano agoni presso l'oracolo di Apollo Python. Il programma originario prevedeva esclusivamente esibizioni musicali e un premio veniva conferito per il migliore inno ad Apollo, cantato con l'accompagnamento della cetra. Quando i Giochi Pitici ebbero il loro inizio ufficiale, nel 590 a.C., mantennero la loro caratteristica di essere soprattutto concorsi di musicisti, drammaturghi, poeti e pittori. Proponevano dunque una situazione quasi antitetica rispetto a Olimpia, dove si disputavano prevalentemente gare atletiche.
Le due manifestazioni, nel loro insieme, rappresentavano un quadro completo dell'agonistica greca, nelle sue componenti atletiche e artistiche.
Le feste si svolgevano nel territorio di Delfi, in un paesaggio completamente diverso da quello di Olimpia: se quest'ultima giaceva nella valle verdeggiante e piatta dell'Alfeo, Delfi era arroccata tra i dirupi rocciosi del versante meridionale del monte Parnaso, nella Focide, a strapiombo su una distesa di olivi che si allargava sino alle acque del golfo di Corinto. Al luogo si attribuì, sin da epoca remota, un carattere sacro, connesso probabilmente con i movimenti tellurici frequenti nella zona e con le esalazioni delle numerose sorgenti solforose. Non sorprende quindi che agli inizi si sia sviluppato il culto ctonio di Gea, la Terra. Solamente nel 7° sec. a.C. prevalse il culto di Apollo, in onore del quale fu costruito il tempio, dove la Pizia recitava i responsi dell'oracolo emettendo suoni inarticolati che venivano interpretati dai suoi sacerdoti. L'oracolo di Delfi acquistò per l'intera Grecia una straordinaria importanza, non solo religiosa ma anche politica, tanto da esercitare una notevole influenza anche nei progetti di colonizzazione delle nuove terre. Era d'uso, infatti, consultarlo prima di ogni movimento migratorio, per ottenere suggerimenti e ricavarne auspici.
Conoscenze essenziali sui Giochi Pitici sono state offerte dall'archeologia. Gli scavi condotti intorno al 1860 dalla Scuola archeologica francese di Atene portarono al ritrovamento di reperti pregiati, quali la statua bronzea dell'Auriga, che faceva parte di una quadriga innalzata per celebrare la vittoria di Polizelo nel 478 a.C. Durante gli scavi furono scoperte anche le rovine del tempio di Apollo, l'anfiteatro e lo stadio, considerato, per la sua posizione, il più suggestivo nell'antica Grecia. Esso giace su un'ampia terrazza nella parte più alta di Delfi, ai piedi delle due rocce Fedriadi (le Brillanti), grandi colline rocciose che si innalzano a strapiombo per 250 m. Come a Olimpia, sembra non ci sia stato uno stadio permanente fino alla seconda metà del 5° sec. a.C. Ai tempi di Pindaro, infatti, le gare non avevano luogo a Delfi, ma nella sottostante pianura di Crisa. Il cambiamento avvenne probabilmente fra il 448 e il 421 a.C., quando i focesi presero la direzione della festa. Per costruire uno stadio sui ripidi fianchi delle colline fu necessario innalzare un massiccio muro di protezione, la cui data di costruzione è stata individuata grazie a una curiosa iscrizione contenente il divieto di portare vino all'interno dell'edificio. Lo stadio delfico fu restaurato nel 2° sec. d.C. grazie alla generosità del mecenate Erode Attico che, secondo Pausania, lo rivestì di marmi come aveva fatto in quello di Atene. Le corse con i carri e a cavallo continuarono a svolgersi nella piana di Crisa poiché a Delfi non c'era spazio sufficiente per costruire un ippodromo. Presso la fonte Castalia si trovano, infine, i resti di un ginnasio costruito nel 4° sec. a.C., epoca in cui le feste acquistarono particolare importanza, dopo il periodo di decadenza che aveva fatto seguito all'invasione persiana.
Secondo Pausania i giochi sarebbero stati istituiti da Apollo per celebrare l'uccisione del terribile serpente Pitone, simbolo dei culti preellenici della Terra, oppure da Diomede, uno degli eroi achei che presero parte all'assedio di Troia, il quale li avrebbe istituiti in onore di Apollo. Lasciando da parte la mitologia per attenersi a ricostruzioni più rigorosamente storiche, gli studiosi fanno risalire le origini di queste feste alla celebrazione della vittoria che Delfi, a capo della Lega anfizionica, riportò nella Prima guerra sacra contro i focesi di Crisa, ricca città ai piedi del Parnaso. Da quel momento Delfi conobbe un'epoca di prosperità, di cui fu appunto manifestazione l'istituzione nel 590 a.C. delle feste pitiche, uno dei pochi esempi di giochi panellenici a trarre origine da un evento bellico. Le feste, che originariamente si disputavano ogni otto anni, a partire dal 582 a.C. iniziarono a mutare il loro carattere esclusivamente musicale per includere nel programma, in emulazione dei Giochi Olimpici, anche gare atletiche ed equestri. Fu inoltre deciso di farle svolgere con una cadenza quadriennale, nell'agosto del terzo anno di ciascuna Olimpiade e, sull'esempio delle Olimpiche, di proteggerle con la proclamazione di una 'tregua sacra' di tre mesi.
I giochi, preceduti dai rituali sacrifici propiziatori, venivano inaugurati con il caratteristico nòmos piticòs. Nella stessa giornata, atleti, giudici, sacerdoti e autorità formavano un corteo che, partendo dalle mura esterne della città, percorreva la via sacra sino al santuario consacrato ad Apollo. Il giorno seguente le feste proseguivano fra competizioni musicali di canto e flauto e concorsi poetici. Seguivano, secondi per importanza, i concorsi ippici. Le corse con i carri, che non comparivano nel programma della prima edizione, furono inserite nel 582 a.C. Il primo vincitore fu Clistene, tiranno di Sicione, tra i protagonisti nella Guerra sacra. In questa gara colsero l'alloro altri personaggi illustri come Gerone di Siracusa, Senocrate di Agrigento e Arcesilao, celebre auriga di Cirene. I concorrenti in queste gare dovevano essere piuttosto numerosi, come si evince dall'ode in onore della vittoria di Arcesilao in cui Pindaro racconta che durante la corsa non meno di 40 carri furono travolti in una caduta rovinosa, a causa dell'ardore agonistico dei contendenti. Anche Sofocle ricorda le gare equestri nei Giochi Pitici, descrivendo nell'Elettra le mete che contrassegnavano il punto in cui i concorrenti invertivano la corsa al termine del rettilineo. Altri autori riferiscono che nell'ippodromo di Delfi erano collocati tre blocchi di pietra con le seguenti iscrizioni che incitavano gli atleti: "sii veloce", "volta", "sii deciso". Le corse dei carri e a cavallo persero la loro importanza in epoca romana e gradualmente scomparvero, forse per l'impoverimento degli allevamenti greci durante l'occupazione romana. Le feste si concludevano con altre gare atletiche, che ricalcavano il programma dei Giochi di Olimpia. Il programma fu ampliato nel 498 a.C. con l'introduzione della corsa con le armi, apparsa a Olimpia pochi anni prima e, nel 346 a.C., con il pancrazio per ragazzi, che fece la sua comparsa nei Giochi Olimpici solamente nel 200 a.C.
La complessa direzione dei giochi era affidata a un Comitato composto dalle personalità più accreditate della Lega anfizionica, formata in origine dalle 12 tribù che risiedevano in prossimità del santuario di Demetra. La Lega era amministrata da un direttorio formato da due membri per ciascuna tribù, il pulagòros, quale delegato politico, e lo hieromnèmon, figura religiosa. La legge anfizionica del 380 a.C. conteneva tutti i dettagli relativi ai compiti degli ieromnemoni: essi predisponevano il programma, proclamavano la tregua sacra, assicuravano il funzionamento degli impianti, sovrintendevano ai sacrifici e alle cerimonie religiose, esplicavano le funzioni di giudice e presiedevano alle premiazioni. I vincitori erano premiati simbolicamente con la consegna di pomi, frutti sacri ad Apollo e con corone di alloro. La corona di foglie di lauro è raffigurata su una moneta rinvenuta a Delfi, mentre un'altra, trovata a Corinto, rappresenta un tavolo sul quale sono deposte, accanto alla corona d'alloro, cinque mele e un vaso.
I Giochi Pitici ebbero la loro maggiore risonanza nel 4° sec. a.C., quando venne edificato il ginnasio e fu ampliato il programma con l'aggiunta di nuove prove. Con la decadenza delle competizioni olimpiche, si è persa traccia anche delle pitiche. Si ha motivo di ritenere, comunque, che la loro fine sia stata decretata dall'Editto dell'imperatore Teodosio (392 d.C.) che, come vedremo, costituì l'ordine di morte per tutti i culti agonistici dell'antichità greca.
I GIOCHI ISTMICI
Corinto, patria di ricchi mercanti e di grandi navigatori, situata sull'istmo che unisce il Peloponneso al continente, ospitò i Giochi Istmici nell'epoca in cui era il più grande centro di scambi commerciali dell'intera Grecia. Le varie leggende circa l'origine di queste competizioni sono legate, direttamente o indirettamente, a Poseidone dio del mare e delle forze occulte della terra, venerato soprattutto lungo le coste e nelle isole dell'Egeo.
Narra il mito che i primi contendenti dei giochi di Corinto furono lo stesso Poseidone ed Eolo, dio dei venti, che gareggiarono per assicurarsi il dominio sul territorio, arbitro Briareo, figlio di Poseidone, che assegnò l'Acrocorinto a Eolo e l'Istmo al padre. Plutarco, nella Vita di Teseo, fa invece risalire la loro fondazione a Teseo, figlio di Egeo re di Atene, il quale, durante il suo viaggio da Atene a Corinto, avrebbe ucciso Scirone, eroe eponimo di Megara, e avrebbe istituito i giochi per ricordare l'impresa compiuta; l'antagonismo tra i due mitici personaggi rispecchierebbe in realtà la rivalità esistente tra Atene e Megara.
Plutarco tramanda anche una versione discordante, secondo cui l'eroe ateniese istituì le feste per celebrare l'alleanza tra le regioni di Megara e dell'Attica. Secondo lo storico, prima di Teseo, le Istmiche avevano la caratteristica di giochi notturni in quanto si celebravano dopo il tramonto del sole, al lume di fiaccole e di falò. L'eroe attico ne modificò il rituale facendole disputare di giorno come gli altri giochi panellenici; stabilì, inoltre, che gli ateniesi avessero diritto a un posto d'onore negli stadi. Il trattamento preferenziale riservato agli ateniesi in realtà molto probabilmente era da collegare agli ottimi rapporti che Atene e Corinto avevano prima dell'insorgere di rivalità commerciali. Un altro racconto leggendario, secondo cui Teseo avrebbe fondato i giochi in antagonismo con Ercole che aveva istituito quelli di Olimpia, spiegherebbe le ragioni dell'acceso antagonismo tra le due feste, al punto che agli elei, secondo quanto riferisce Plutarco, non era consentito di gareggiare a Corinto.
Un frammento di una tavola rinvenuto nell'isola di Paro porterebbe a collocare l'istituzione delle Istmiche addirittura intorno al 12° sec. a.C. Esse vanterebbero, di conseguenza, un'antichità maggiore rispetto alle prime gare che a Olimpia precedettero i giochi ufficiali. Sarebbe seguita, quindi, una lunga sospensione, che durò fino al 582 a.C. A partire dal 581 a.C. i Giochi Istmici ebbero il loro avvio ufficiale, assumendo cadenza biennale, nel secondo e quarto anno di ogni Olimpiade.
I Giochi Istmici, nonostante fossero di livello inferiore a quelli Olimpici per i contenuti agonistici e a quelli Pitici per la componente artistica, erano caratterizzati da un grande concorso di spettatori ed erano i più frequentati fra tutte le feste panelleniche. Non raggiunsero mai, tuttavia, l'importanza panellenica e il prestigio dei Giochi Olimpici, come dimostra anche il decreto del legislatore ateniese Solone, che stanziava a spese della pòlis100 dracme per i vincitori delle Istmiche e 500 per quelli delle Olimpiche.
Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche e organizzative, scarseggiano gli elementi sia sulla durata delle gare sia sul loro svolgimento. Pausania, che pure dedica due libri alla descrizione dei Giochi Olimpici, fornisce solo poche informazioni su quelli Istmici. Circa la loro evoluzione nel 5° e 4° secolo, si rileva che tra i vincitori ci sono pochi nomi di atleti residenti nelle colonie della Sicilia e dell'Italia; gran parte dei concorrenti provenivano da Corinto, Egina, Tebe, Atene e da alcune isole dell'Egeo. La partecipazione di altre pòleis fu probabilmente condizionata dalla politica dei corinzi che cercavano di conservare una certa equidistanza tra Atene e Sparta. Durante le guerre del Peloponneso gli ateniesi disertarono le Istmiche, ma, alcuni anni dopo, nel 412 a.C., Corinto rifiutò l'invito di Sparta di partecipare alla liberazione di Chio dalla dominazione ateniese e, dopo avere proclamato la tregua sacra, indisse i Giochi invitando gli ateniesi a parteciparvi
Fonti letterarie, come gli epinici di Pindaro e Bacchilide, e i resti di edifici e impianti riportati alla luce nel 19° secolo, nonché la ricca varietà di reperti rinvenuti in particolare tra le rovine del tempio di Poseidone forniscono notizie sul programma dei Giochi. Inizialmente essi prevedevano solo competizioni atletiche ed equestri, ma intorno al 4°-3° sec. a.C. furono introdotti anche agoni musicali, che videro tra i principali protagonisti Nicocle di Taranto, il quale riportò quattro vittorie consecutive. L'importanza delle attività musicali e intellettuali è sottolineata dalla creazione, proprio a Corinto, nel periodo ellenistico (3° sec. a.C.), di corporazioni di attori di professione che si esibivano nelle varie feste locali, denominate collègia technìtai. In analogia con questa iniziativa, anche gli atleti professionisti crearono la loro associazione, eleggendo Ercole a nume tutelare.
Come tutti i grandi appuntamenti panellenici, anche le Istmiche si aprivano con un rigido cerimoniale religioso e duravano probabilmente parecchi giorni. Prima dell'inizio delle gare, un corteo di atleti, giudici e sacerdoti percorreva la via sacra e si recava presso il grande altare innalzato in onore di Poseidone. Dopo i sacrifici propiziatori, si procedeva alla cerimonia del giuramento da parte degli atleti e dei giudici. Terminato il rituale, iniziavano i concorsi musicali, retorici e poetici. Seguivano competizioni atletiche, con prove distinte per adulti, giovani e ragazzi. Secondo alcuni autori si svolgevano anche delle regate. Le gare avevano luogo in un'area situata presso il tempio di Poseidone. Dello stadio originario si è persa ogni traccia, mentre è stato possibile localizzare il secondo impianto, costruito intorno al 5° secolo e ricavato dal letto di un torrente la cui acqua era stata deviata in un canale sotterraneo. Il fondo prosciugato, livellato, fu sistemato a pista per le corse. Anche dell'ippodromo non si sono trovati i resti; si ha però la certezza, grazie alle testimonianze pervenuteci, che le gare ippiche ebbero grande rinomanza. La figura di Poseidone alla guida di un carro compare, tra l'altro, in un gran numero di monete corinzie e siciliane. Nel 2° sec. d.C. un cittadino romano di Corinto, Publio Licinio Prisco, finanziò alcune opere che arricchirono gli impianti e gli edifici utilizzati per le Istmiche. A lui si deve, tra l'altro, la costruzione del portico che conduceva gli atleti nello stadio. Le feste si concludevano con una cerimonia che si svolgeva durante la notte nei pressi del tempio di Melicerte, illuminato da migliaia di fiaccole portate dai fedeli e dal fuoco delle fosse ove si compivano i sacrifici. Le fiamme erano alimentate da tronchi di pino e olio d'oliva. Al tempo di Pindaro, i vincitori delle gare venivano premiati con una corona di pino selvatico. Dal 485 a.C. il pino fu sostituito dall'apio secco, per distinguere il serto dei Giochi Istmici da quello dei Nemei, che era di apio fresco.
Le feste Istmiche si interruppero nel 146 a.C., allorché la città fu distrutta dalle truppe del generale romano Lucio Mummio, intervenute per soffocare una rivolta. In conseguenza di questo avvenimento, i Giochi furono trasferiti a Sicione per tornare a Corinto, cento anni dopo, quando la città fu ricostruita per opera di Cesare.
I GIOCHI NEMEI
Come si può rilevare dalla cronologia sinora menzionata, intorno al 6° sec. a.C. si ebbe un proliferare di giochi atletici in più regioni della Grecia. A questo periodo vengono ricondotti anche i Giochi Nemei, considerati, peraltro, i meno importanti tra le competizioni panelleniche. Organizzati nella valle solitaria ove sorgeva il Tempio di Zeus Nemeo, a metà strada tra Fliunte e Cleone, si ritiene fossero già esistenti prima del 1° millennio a.C. Dopo una lunga stasi, nel 572 a.C. le celebrazioni furono ufficialmente ripristinate e riorganizzate come feste panelleniche. Si svolgevano con cadenza biennale, nel secondo e quarto anno dei Giochi Olimpici, in una valletta boscosa dell'Argolide settentrionale attraversata dal fiume Nemea.
Come per tutte le feste agonali dell'antica Grecia, anche l'origine delle Nemee è legata a un mito: le avrebbe istituite Adrasto, uno dei sette eroi che parteciparono alla spedizione contro Tebe, per onorare la memoria di Archemoro, figlio del re di Nemea, assalito e soffocato da un serpente dopo esser stato lasciato incustodito dalla nutrice, allontanatasi per indicare una fonte ai Sette durante la loro sosta nella valle nemea. Parteciparono alle gare tutti e sette i condottieri che, equanimemente, si aggiudicarono una prova ciascuno. Secondo un altro mito, riferito da Bacchilide, i Giochi sarebbero stati fondati da Ercole dopo la prima delle sue leggendarie fatiche, l'uccisione del leone nemeo che infestava la valle aggredendo gli abitanti.
La direzione delle Nemee fu causa di sanguinose dispute tra le città di Cleone e Argo. Originariamente il controllo fu esercitato da Cleone, ma nel 460 a.C. la titolarità dei Giochi passò ad Argo, che tuttavia fu accusata di utilizzare la tregua sacra in maniera strumentale, bloccando in più di un'occasione un'aggressione spartana. L'uso fraudolento della tregua fu interrotto dal re di Sparta Agesipoli che, nel 390 a.C., invase Nemea e punì gli argivi privandoli delle feste. Alla fine del 3° sec. a.C. i Giochi tornarono ad Argo ove furono ospitati fino ai tempi dell'invasione romana.
Nemea, come Olimpia, non era una città vera e propria, ma un luogo sacro ove sorgevano pochi edifici: un tempio dedicato a Zeus Nemeo, un edificio amministrativo, uno stadio, un ginnasio e un ippodromo che, secondo la descrizione di Pausania, aveva una lunghezza doppia rispetto allo stadio. Di queste costruzioni ci sono pervenuti solo pochi resti. I Giochi, che avevano un programma essenzialmente atletico, avevano inizio a metà luglio, ma non se ne conosce la durata. Originariamente si svolgevano solo competizioni di corsa e gare ippiche; solo più tardi, durante l'epoca ellenistica e imperiale, si aggiunsero agoni musicali per citaredi ed esibizioni riservate ai trombettieri.
Una caratteristica tecnica delle Nemee era la distanza da percorrere nella corsa delle armi, che consisteva in quattro stadi, il doppio di quella prevista a Olimpia. La direzione delle gare era affidata a giudici, detti ellanodici come quelli dei Giochi Olimpici. Dalle poche notizie pervenuteci sui concorrenti, sembra che nel 5° sec. a.C. essi provenissero principalmente dal Peloponneso, da Atene e dalle isole Egee. Più tardi, durante la conquista romana, si affermarono anche atleti professionisti di Alessandria e dell'Asia Minore. Al contrario dei Giochi Istmici, nei quali prevaleva un tono festoso e quasi mondano, le Nemee erano contraddistinte da una forte caratterizzazione religiosa che le ricollegava alle loro origini funebri. Tale impronta trovava aderente rappresentazione nell'abbigliamento dei protagonisti: i giudici e i concorrenti indossavano, in segno di lutto, indumenti scuri; anche i riti avevano caratteristica preponderante di culto funerario. Gli atleti partecipanti ai Giochi Nemei erano suddivisi, così come per quelli Istmici, in tre categorie: i paidès(ragazzi), gli agéneioi (giovani) e gli àndres (adulti); il limite esatto dell'età per ciascuna classe non risulta chiaramente dalle fonti scritte. In epoca imperiale a Nemea, come a Corinto, si costituì una corporazione di atleti professionisti, con nume tutelare Dioniso.
Il premio ai vincitori consisteva originariamente in una corona di ulivo selvatico, segno di pace, sostituito in seguito con apio fresco e una foglia di palma. Le Nemee, secondo alcune fonti, sopravvissero all'Editto di Teodosio e continuarono a svolgersi, per un certo tempo, anche dopo la scomparsa delle Olimpiadi.
I GIOCHI MINORI
Parallelamente alle grandi feste panelleniche che costituivano i cosiddetti 'giochi maggiori', esistevano nell'antica Grecia feste locali, denominate 'giochi minori', nei quali gli agoni atletici si alternavano con concorsi musicali, letterari e artistici. Il novero delle competizioni era piuttosto nutrito; talora le gare avevano una caratteristica rituale, come nel caso della corsa con le torce che si rifaceva all'antico costume di trasferire il fuoco sacro da una località all'altra con fiaccole portate da atleti, tradizione alla quale si ispira nelle Olimpiadi moderne la staffetta di tedofori che recano il fuoco di Olimpia dalla patria dell'olimpismo antico sino alla città sede dei Giochi.
Queste feste cittadine, presenti nel 6° sec. a.C. sicuramente in almeno 50 città, avevano un modesto rilievo, poiché la loro notorietà e diffusione erano esclusivamente locali. Il loro numero crebbe tuttavia in relazione al sorgere di varie città fondate dai coloni greci e al processo di ellenizzazione subito da centri già esistenti. Anche fuori dalla Grecia, pertanto, vennero organizzati giochi, secondo le consuetudini della madre patria. Si ebbe così un proliferare di feste locali che, con il tempo, si moltiplicarono sino a diventare oltre 300 nel 1° sec. d.C.
Mentre il vincitore delle feste panelleniche riceveva riconoscimenti simbolici come palme, rami di ulivo, serti di alloro o di sedano, in quelle locali gli atleti, oltre a percepire ingaggi sostanziosi, erano sicuri di ricevere ricompense tangibili. Al British Museum di Londra, per esempio, è conservata, in ottimo stato, una caldaia di bronzo risalente al 6° secolo, rinvenuta a Cuma (Magna Grecia) e recante l'iscrizione "in premio ai Giochi di Onomastos"; l'oggetto fu messo in palio in qualche festa celebrata in onore del famoso pugile Onomastos di Smirne, olimpionico del pugilato nella XXIII Olimpiade.
Nell'ambito delle feste minori, una discreta importanza avevano i giochi che si svolgevano a Epidauro, antica città dell'Argolide che in età ellenistica prosperò poiché era sede di un celebre santuario dedicato ad Asclepio. Ogni cinque anni in onore di questo dio venivano celebrate le Asclepiadi, durante le quali si svolgevano agoni musicali in un teatro con una cavea circolare a 50 file di sedili. La costruzione, famosa per la sua acustica, è uno degli esempi meglio conservati di edifici teatrali greci, ancora oggi utilizzato.
Ad Argo, che è ritenuta la più antica città della Grecia (le origini risalirebbero al 2000 a.C.) e faceva parte, con Micene, del regno di Agamennone, ogni anno si disputavano gare di corsa denominate Imenee. La loro origine si ricollegava al mito delle Danaidi, le figlie di Danao che per ordine del padre uccidevano i mariti nella prima notte di nozze finché per intervento di Afrodite, dea dell'amore, Danao non rinunciò al crudele rito e promise di far sposare le figlie ai vincitori di una gara di corsa.
Iolco, antichissima città che sorgeva nella Tessaglia sul golfo di Pagase ai piedi del monte Pelio, ospitava i Giochi Peliaci, che si disputavano in memoria del re Pelia sulla spiaggia da dove partì la spedizione degli Argonauti, i mitici eroi greci comandati da Giasone. Raffigurazioni dei giochi funebri per Pelia compaiono su uno dei più famosi monumenti dell'arte figurativa greca, l'arca di Kypselos, del 6° sec. a.C., custodita a Olimpia, e su un'anfora ugualmente del 6° sec., il vaso di Anfiarao, conservato nel Museo di Berlino.
Teseo, figura eminente del ciclo eracleo, avrebbe dato vita ai giochi Ecalesi e, a Creta, a feste funebri in onore di Androgeo figlio del re Minosse. Feste funebri di una qualche importanza furono istituite dal re Teutamide a Larissa, città della Macedonia. In una edizione vi prese parte Perseo, che si affermò in tutte le prove del pentathlon.
Lungo è l'elenco delle feste organizzate a Sparta. Fra le più antiche si ricordano le Carnee, istituite nel 676 a.C. in onore di Apollo Carneo, l'antico dio Carno, l'ariete che aveva guidato i Dori nella loro migrazione. Per questo motivo le competizioni erano riservate a concorrenti provenienti dalle città doriche. Il programma era prevalentemente costituito da agoni musicali. Alla stessa epoca risalgono le Iacinthie, gare a carattere funebre organizzate in memoria di Giacinto, ucciso accidentalmente da Apollo durante una gara di lancio del disco. Le competizioni agonistiche non costituivano però la parte predominante delle feste, che erano soprattutto caratterizzate dai riti religiosi. Talete di Creta nel 668 a.C., per commemorare la sconfitta di Isie da parte di Argo, introdusse le Gimnopedie (da gùmnos, "nudo" e pedào, "saltello"), competizioni di danza tra giovani nudi. Sparta organizzava anche le Leonidee per ricordare i caduti alle Termopili (480 a.C.). Le gare, che avevano luogo tra le tombe degli eroi, si svolgevano annualmente ed erano riservate esclusivamente agli spartani. Su queste competizioni ci sono pervenute diverse iscrizioni, una delle quali contiene i regolamenti all'epoca della loro riorganizzazione (1° sec. d.C.), durante l'impero di Nerva. Le epigrafi più interessanti sono quelle che descrivono il cosiddetto gioco delplaneto che si svolgeva su un'isoletta, fra due squadre che cercavano di spingere gli avversari nell'acqua colpendoli con pugni, calci e lottando. Poiché le iscrizioni sono mutilate non si conoscono i dettagli sul numero dei componenti e sui regolamenti. Sempre a Sparta si ha notizia di alcune feste private, come le Euriclee, che prendevano il nome dal loro finanziatore Euricle, ricco e potente commerciante vissuto nel 1° sec. a.C.
A Platea vennero istituite le Eleuterie, per celebrare la vittoria ellenica contro i persiani (479 a.C.). Fu in occasione di questa battaglia che, come riferisce Erodoto nelle sue Storie, Mardonio, generale persiano, fu avvicinato da un suo comandante che esclamò: "ahimé Mardonio, contro quale specie di uomini ci hai mandato a combattere; uomini che non per denaro disputano le loro gare, ma per l'onore".
Anche ad Atene, ove si celebravano le più note Panatenaiche, vennero istituite feste di minore importanza, come le Tesee, la grande rassegna dell'atletismo degli efebi dell'Attica, organizzata in onore di Teseo. La festa era annuale e consisteva in un rituale religioso e in competizioni atletiche. Il programma si apriva con i concorsi per araldi e trombettieri, seguiti da corse con le fiaccole, alle quali partecipavano squadre in rappresentanza di palestre e ginnasi ateniesi. Il programma atletico comprendeva lo stàdion, il pankràtion e l'oplitodromìa. In linea di massima ricalcava le prove delle Olimpiche, a eccezione del pentathlon e delle gare equestri. Nelle Tesee gli atleti erano suddivisi in quattro classi, a seconda dell'età.
Le feste Delie, forse ancora più antiche delle Olimpiche, sono citate nell'inno omerico ad Apollo. Giochi minori di scarso rilievo ebbero ospitalità in altre città della Grecia quali Mileto, Messene, Egina, Rodi, Megara, Tebe, Chio, Samo.
I Giochi Panatenaici
I giochi locali che ottennero il maggior successo e dei quali abbiamo più ampie notizie furono sicuramente quelli organizzati ad Atene e che dal nome della città presero l'appellativo di Giochi Panatenaici o Panatenee. Secondo il mito li avrebbe istituiti, con cadenza quadriennale, Erittonio, uno dei primi re di Atene, in occasione della dedica di una statua di Atena che doveva ricordare la sua vittoria sul gigante Asterio. Per gli storici la prima edizione ufficiale sarebbe stata organizzata nel 566 a.C. dall'arconte Ippokleides. Le gare, all'inizio, erano riservate esclusivamente agli abitanti di Atene e in origine non ebbero rilevanza al di fuori dei confini cittadini, per non accrescere ulteriormente il prestigio di Atene. Nel 528 a.C. Pisistrato stabilì che le competizioni potessero essere aperte anche agli atleti delle pòleis alleate, ma dopo alcune edizioni i Giochi furono sospesi. Li ripristinò Pericle intorno al 460 a.C.
Le feste, celebrate in onore di Atena Pallas, dea della sapienza e della guerra, si distinguevano in piccole Panatenee (annuali) e grandi Panatenee (quadriennali), che si svolgevano ogni terzo anno di ciascuna Olimpiade verso la fine di luglio, in coincidenza con l'anniversario della fondazione di Atene. Il programma, che sin dalle origini valorizzava la componente letteraria e artistica, era molto articolato e prevedeva concorsi musicali e di recitazione, prove atletiche, una regata e addirittura una specie di concorso di bellezza. L'esistenza di competizioni musicali è provata da due piccole anfore panatenaiche, risalenti al 6° sec. a.C., conservate nel British Museum: una rappresenta un citarista, l'altra un flautista che si esibisce in piedi su una pedana. Questi concorsi ebbero la loro consacrazione ufficiale nel 460 a.C., grazie a uno speciale decreto di Pericle. Fu stabilito anche il regolamento delle gare di canto, cetra e flauto, ospitate nell'Odeon, un teatro fatto costruire appositamente nel 442 a.C. e ricordato come il più bello e imponente del mondo classico.
L'importanza delle feste di Atene è evidenziata dal gran numero di autorità coinvolte nella loro organizzazione: i grandi sacerdoti preparavano la processione e i riti sacrificali; gli arconti, coadiuvati da alti magistrati, erano responsabili di tutti gli altri aspetti organizzativi e l'arconte eponimo curava la raccolta dell'olio destinato come premio ai vincitori. Il Gran Consiglio sovrintendeva all'amministrazione, alle cerimonie religiose, al controllo dell'operato dei giudici e alla manifattura del peplo e delle anfore.
L'inizio delle competizioni era preceduto da un corteo che percorreva le principali strade di Atene. Il fregio che si snoda lungo la cella del Partenone descrive in dettaglio la composizione della processione: apriva la sfilata una nave sospinta su due ruote, scortata da fanciulle recanti anfore ricolme di vino; seguivano i buoi destinati al sacrificio, quindi gli araldi alla testa delle delegazioni di Atene, delle colonie e delle pòleis alleate; a metà corteo erano schierate le autorità cittadine: i pritani, gli arconti, gli strateghi, i tesorieri; chiudevano la sfilata fanciulli, che recavano anfore, soldati e cavalieri armati. Alla processione panatenaica prendevano parte anche alcuni anziani. Ogni tribù selezionava i propri rappresentanti e veniva premiata la delegazione che aveva inviato gli anziani di migliore aspetto. La meta finale del corteo era l'Acropoli. Qui, alcune fanciulle di nobile famiglia, vestivano con un ricco peplo la statua della dea Atena. Seguiva la cerimonia del giuramento degli atleti e dei giudici che erano nominati per quattro anni e venivano scelti, uno per ciascuna delle dieci tribù ateniesi. Nei giorni della festa dimoravano nel Prytaneion, luogo sacro dove erano custodite le statue delle divinità e il fuoco di Hestia. I riti si chiudevano con il sacrificio di 100 buoi (ecatombe) e con il banchetto finale, al quale intervenivano tutti i partecipanti. Esaurita la parte protocollare, avevano inizio le feste che duravano nove giorni. Aristotele, nella Costituzione degli ateniesi, scrive che le prime tre giornate erano riservate alle recitazioni di poesia epica, alle esibizioni musicali e drammatiche. Una fonte epigrafica risalente al 4° sec. a.C. fornisce utili elementi per ricostruire la sequenza di questi concorsi. Il programma iniziava con le gare per citaredi, continuava con le esibizioni dei cantanti accompagnati dal flauto e si concludeva con le competizioni per adulti suonatori della lira.
Gli agoni atletici si svolgevano nel quarto e quinto giorno; il sesto era riservato alle corse con i carri e a cavallo. I primi vasi panatenaici del 6° secolo attestano, con le loro raffigurazioni, che nel programma delle Panatenee, sin dalle origini, figuravano tutte le prove previste nei Giochi Olimpici. I concorrenti erano suddivisi in base all'età in due categorie: adulti e ragazzi; nel 4° sec. a.C. fu aggiunta una terza classe, quella dei giovanetti. Per i più giovani il programma prevedeva cinque gare: lo stàdion, il pentathlon, la lotta, il pugilato e il pancrazio. Le competizioni per adulti erano completate da dìaulos, dòlichos, corsa a cavallo e oplitodromìa. Complessivamente il numero delle competizioni era piuttosto folto. Un'iscrizione del 2° sec. a.C. enumera ben 24 gare e un'altra, incompleta, ne cita 16.
Nel settimo giorno avevano luogo due esibizioni tipiche delle Panatenee: le danze con le armi, denominate pirriche (pyrrìche), e la corsa con le fiaccole (lampadedromìa). Il bassorilievo sulla base di una statua eretta da Atarbo per commemorare le vittorie riportate da un coro pirrico nelle Panatenee rappresenta otto giovani nudi con elmo e scudo, che danzano sotto la guida di un maestro vestito con un lungo mantello. La seconda gara, la lampadedromìa, consisteva in una corsa di efebi che, con una staffetta, recavano una fiaccola dall'ara di Prometeo, nei pressi dell'Accademia, sino all'Acropoli. Nell'ottavo e nono giorno le feste si concludevano con una solenne processione e, infine, con una regata nel porto del Pireo che vedeva competere equipaggi delle varie tribù. I concorrenti che trionfavano ricevevano, oltre ai premi in denaro, anche grandi vasi decorati, ricolmi di olio, noti con il nome di anfore panatenaiche. L'olio era considerato il prodotto più pregiato dell'Attica e in base alle leggi dell'epoca apparteneva alle pòleis, poiché tutti gli alberi d'ulivo erano di proprietà della comunità. L'arconte, dopo la spremitura, raccoglieva l'olio e lo consegnava ai tesorieri. Durante i Giochi venivano assegnate come premio complessivamente 1300 anfore. Tenuto conto che un vaso di olio valeva 12 dracme, è evidente che i premi avessero un grande valore commerciale. Un'iscrizione risalente al 4° sec. a.C. dà precise notizie sui criteri di assegnazione di questi riconoscimenti: 150 anfore, riccamente decorate, ciascuna contenente circa 20 litri d'olio, venivano attribuite al vincitore della corsa con i carri; 50 a chi si affermava nello stàdion; 40 erano messe in palio nel pancrazio, 30 nel pentathlon, nella lotta e nel pugilato. Sui vasi, dipinte in nero su fondo rosso, erano raffigurate, da un lato, Atena con elmo, scudo e lancia e, dall'altro, scene agonistiche relative alla gara in cui l'atleta si era affermato. La dea normalmente è inquadrata da due pilastri sormontati da un emblema: su quello di destra compare la scritta "uno dei premi da Atene". I vasi panatenaici sono stati rinvenuti in grande quantità e anche in luoghi molto distanti dalla Grecia, probabilmente perché ai vincitori era concesso di venderli e in tal modo esportare un prodotto considerato pregiato oltre che sacro. La maggior parte dei vasi panatenaici pervenuti mostrano figure di corridori, a conferma della popolarità delle gare di corsa presso gli ateniesi che, in questa disciplina, riportarono a Olimpia il maggior numero di allori. Alcuni studiosi, riferendosi a questa circostanza, ritengono che la stessa scelta del vincitore della gara dello stàdion, quale eponimo dell'Olimpiade, sia dovuta all'influenza ateniese.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
http://www.treccani.it/enciclopedia/olimpiadi-antiche_%28Enciclopedia-dello-Sport%29/