John CARLOS e
Tommie SMITH
la Storia presa a pugni. Neri.
Clarksville, 6 giugno 1944
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Quella che vedete qui affianco, è una delle immagini (scattata da John Dominis per la rivista LIFE) più famose del Novecento, quella in cui Tommie SMITH e John CARLOS (rispettivamente oro e bronzo) si trovano sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi a Città del Messico, il 16 ottobre 1968, con i pugni alzati, i guanti neri (simbolo del black power), i piedi scalzi (segno di povertà), la testa bassa e una collanina di piccole pietre al collo a simboleggiare ogni uomo nero linciato per i propri diritti.
Quei pugni neri levati al cielo divennero il simbolo di una protesta silenziosa che segnò profondamente l’America. Lo scatto, proprio come un quadro post-moderno, ritrae lo spaccato di un’epoca: due atleti neri che si ribellano all'apartheid, e lo fanno ricordando l’orrore della schiavitù dall'alto di un podio olimpico.
È la premiazione di una gara olimpica, ma la scena che si presenta davanti al pubblico va oltre il valore sportivo. Più che alla celebrazione di una vittoria si ha la sensazione di assistere ad un funerale: il nero è il colore dominante e quel nero si espande sui volti addolorati dei due atleti, pare diffondersi tutt'attorno.
Guardando la fotografia si percepisce la tensione che aleggiava nell'aria, riflessa nell'espressione seria e dei due Campioni. I pugni sembrano squarciare l’immagine e urlare il dolore. Quei pugni chiusi, sono la voce di tutti i neri che hanno subito soprusi da parte di un bianco. Raccontano la storia di un’ingiustizia amara che agiva in silenzio: un uomo di colore non poteva bere la stessa acqua di un bianco da una fontana, neppure condividere con lui il posto sull'autobus, frequentare la sua stessa scuola o la stessa piscina.
L’apartheid era un affronto indiretto, continuo e logorante, a cui SMITH e CARLOS risposero con una protesta sullo stesso tono: silenziosa, ma che nel silenzio sembrava urlare. Nell'aria risuonavano le note dell’inno americano: quell'America alla quale loro appartenevano come regolari cittadini, ma che ogni giorno li rifiutava in un atroce susseguirsi di prepotenze e sopraffazioni. «Oggi ho vinto, ha vinto un americano» dichiarerà SMITH, volutamente provocatorio. «Se avessi perso, avrebbe perso un negro».
Ma l’immagine da sola non può raccontare tutta la Storia perché a quell'attimo immortalato seguì, purtroppo, un “dopo” e le sue conseguenze furono intollerabili.
Non si trattò di una messinscena, di un teatrino improvvisato destinato a finire con la conclusione della premiazione: il significato simbolico di quel gesto rimase scolpito in modo indelebile nella memoria della gente, ebbe davvero il potere di scuotere le coscienze.
«Se ne pentiranno tutta la vita», commenta da dietro le quinte un capo delegazione USA. Le cose non andarono diversamente. La pagarono cara.
A Città del Messico spiravano venti di contestazione. È il 1968, anno che ha visto la morte di Martin Luther KING, di Bob KENNEDY e, infine, il 2 ottobre, la strage di Piazza delle Tre Culture che aveva tinto di sangue le Olimpiadi, inaugurando i Giochi in un’atmosfera di guerra.
Per Tommie SMITH e John CARLOS, quel podio immortale fu la loro unica vittoria. Una carriera promettente venne bruciata nel tempo esatto del loro sprint. Terminata la cerimonia della premiazione, i due furono immediatamente cacciati dal villaggio olimpico.
SMITH, originario del Texas, era il settimo di undici figli, suo padre lavorava in una piantagione di cotone. Tommie era diventato una celebrità nella sua cittadina natale, Acworth, grazie alla sua abilità nella corsa, l’avevano soprannominato “Tommie The Jet”.
Gli antenati di CARLOS erano stati schiavi; il padre, veterano della Prima Guerra Mondiale, lavorava come calzolaio. Il piccolo John era diventato veloce per necessità: ad Harlem, dove viveva, essere svelti e svegli era indispensabile. Rubava il cibo dai treni merci e più di una volta si era ritrovato a fuggire dai poliziotti che lo inseguivano. Da bambino sognava di diventare un nuotatore olimpico, poi era stato costretto ad adattare i sogni a una realtà ben diversa.
Guidati dalle idee del loro maestro, il sociologo Harry Edwards, fondatore dell’OLYMPIC PROGRAM FOR HUMAN RIGHTS, decisero di sfruttare il loro personale momento di gloria per dare voce a chi non ne aveva. Sul manifesto dell’OPHR era scritto: perché dovremmo correre in Messico e strisciare a casa? Su quel podio olimpico non dovevano salire semplicemente due uomini, ma un’intera etnia, un popolo. SMITH e CARLOS, in accordo con Edwards, scelsero di agire con una protesta non violenta, ma rappresentativa, in grado di lanciare un segnale al mondo.
Salgono sul podio scalzi, per ricordare la povertà degli schiavi neri in America, indossano i “pimp socks” calzini che nel linguaggio dei ghetti hanno un significato di protesta. SMITH porta una sciarpa nera in omaggio all'orgoglio dei neri americani, mentre Carlos ha il collo adornato da una collanina di pietre colorate: ogni pietra simboleggia un nero che si è battuto per i diritti ed è stato linciato.
Ma il vero pezzo forte sono i guanti, simbolo del Black power, il movimento delle pantere nere. Ne indossano uno soltanto: SMITH il destro, CARLOS il sinistro. La scelta in realtà è stata frutto del caso. Il giorno della premiazione CARLOS si accorse di aver dimenticato i suoi guanti al villaggio olimpico, l’unico modo per rimediare era dividere il paio di Tommie. Uno a testa. Quei guanti diventarono il simbolo stesso della protesta. L’urlo nero.
Questi eroi del Novecento subirono una persecuzione che durò circa un decennio ricevendo minacce telefoniche a ogni ora del giorno e della notte, insulti, e venendo trattati come appestati. La moglie di CARLOS non riuscì a reggere la tensione continua e si suicidò.
Vennero catapultati dal podio a una vita di stenti: condannati ai mestieri più duri. SMITH lavorò come scaricatore al porto di New York, CARLOS come buttafuori. Negli occhi della gente non c’era la minima traccia di approvazione o riconoscimento per quello che avevano fatto. Quella fotografia in realtà è la storia di tre uomini soli (tre perché ne pagò le conseguenze anche l'australiano medaglia d'argento), che pagarono per tutta l’esistenza il prezzo del loro coraggio, la denuncia sociale a un razzismo non ancora sopito.
Solo con il nuovo secolo le cose cambiarono: SMITH e CARLOS vennero riabilitati. Il primo trovò lavoro come docente di sociologia, degno erede del suo maestro, il secondo come insegnante di Educazione Fisica.